Durante il mio stare nella scuola, come insegnante, cioè durante la carriera lavorativa, avendo iniziato a 23 anni, ho incontrato diverse volte periodi di pensionamento di classi di insegnanti. Nella scuola, per la mia esperienza, ho trovato regolarmente confronto e scontro sulle questioni del lavoro, della conduzione didattica, delle convenienze e delle sconvenienze del mangiare la foglia, se fosse opportuno provare a scompaginare l’andazzo o no. E ci stavamo tutti dentro a questo contesto e in mezzo a questo concorso alla reticenza “a fin di bene”, addirittura c’è chi si credeva super partes quando proclamava la scuola è al di fuori della politica. Difficile era stare fuori dai gruppi settari e dai preconcetti sentieri di parzialità che ogni società introduce per la conservazione dei poteri acquisti e ingiustificabili e quindi per domesticare ogni portascompiglio.
Tuttavia in quei contesti accadeva che insegnanti, maschi e soprattutto femmine, arrivate a compimento della carriera, sbottavano “il prossimo giugno ho chiuso e perdio i peli sulla lingua non ce li voglio avere più” … “basta coi salamelecchi, se non sono d’accordo lo voglio dire” … “anche venisse il presidente della repubblica, me ne frego e dico quello che penso” … “se lo dico, finalmente, posso capire se ho ragione o no” … “ sono stata zitta una vita, ma adesso qualche soddisfazione me la voglio levare, hanno voglia di minacciarmi, tanto vado in pensione e me ne frega, non possono farmi niente …”
Non ero della selezione di maggioranza, e a volte mi dispiaceva apparire mosca bianca, e forse lo ero poiché io trovavo il modo di indicare che in qualcosa o in tutto avrei voluto dei cambiamenti. Sono cresciuto come secondo figlio e in qualche modo ho cercato naturalmente di essere intraprendente e di non di non farmi mangiare la pappa in capo dal primogenito, il mio fratello più grande di 18 mesi. Lui non era e non è un mostro, anzi, ma io ero per il non esser accudito e per il non accettare di sbagliare secondo le idee degli altri. Anche al lavoro ho portato questo mio stile di allergia all’imprinting. Quindi, non ero inquadrabile nel gruppone, neppure con quelli che erano del mio stesso sindacato o vicini di idee politiche. Continuo a trovare che condividere idee e comportamenti per principio, per appartenenza, per convenienza o per cameratismo sia un modo orribile per guardare al futuro. Avevo bisogno di tutto; come uno della generazione dei baby-boomer, nato in una famiglia per niente abbiente, conoscevo molto bene il “pastasciutta e alzati”, ma non ho invidiato nessuno, non leccavo chi aveva più di me: osservavo, stavo in silenzio, vigilavo, imparavo, cercavo la mia occasione di progresso, parlavo poco e quando lo facevo ero convinto di averne ragione, anche se spesso non riuscivo a farmi capire oppure non dicevo quello che gli altri volevano sentirsi dire. Fallivo. Per altri sarebbe stato un frustrante fallimento, un rincular con la coda tre le gambe e lasciarsi dar pacche sulle spalle. Con me non avveniva, almeno non avveniva dentro di me, anche se tante volte ho dovuto chinare la testa e arrendermi per non far del male soprattutto a chi mi ha voluto bene, come nel caso in cui mi sono dovuto matrimoniare in chiesa invece che in comune. Per me uno scacco matto, ma per tre gruppi di miei stakeholder è stato un atto che li ha resi orgogliosi e felici. Ho fatto un atto d’amore, di riconoscenza, che ha soltanto aggiunto una frittella alla mia carriera di puro Portoscompiglio. Ogni tacca nella prigione dell’indiscusso, tuttavia, non mi ha piegato, o almeno non mi ha impedito di riprendere a camminare con l’ideale della civiltà che rompe la legge della catena ecologica della sopravvivenza: diventa grande e mangia gli altri! Fatti furbo. Approfitta della ingenuità che trovi intorno a te, fatti bestia rabbiosa, vedrai che ti farai largo.
In quell’occasione, quella del matrimoniare, molte e tante le persone che furono contente al posto mio, la loro routine era salvata! Accade spesso così, è così che la società avvizzisce come un melone lasciato ad aspettare le calende greche e quindi mai incignato si baca inevitabilmente. Un po’ come nella esperienza delle colleghe pensionande e delle persone scrupolose che oggi stanno zitte, ma covano dentro lo sdegno per il lutto nazionale indetto per chi ha voluto sdoganare il mondo del consumismo senza regole di civiltà (quelle della Costituzione Repubblicana), dove tutto si compra e tutto si vende, dalle oggettine ai senatori. È capitato anche a me, certo, e il non esprimermi ogni volta mi lascia una patacca addosso, un’ombra da non dimenticare: una pietra d’inciampo.
E ne ho collezionate tante di pietre d’inciampo, ma il perseguire strade e pensieri divergenti è ancora una mia specialità.
Oggi, 14 giugno 2023, vecchietto, o senior, o in età matura, a seconda della accezione che si vuol usare per un settantaquattrenne, mi ritrovo in una Italia in cui un consiglio di ministri indice il lutto nazionale per un uomo che, entrato in politica, anche divenuto presidente del consiglio, ha lasciato l’Italia e il mondo assai peggiori di come li aveva trovati prima del suo incarico governativo, e che nel suo curricolo ha reati perpetrati e giudicati con condanne, anche scontate e con prescrizioni sopravvenute, affidamento ai servizi sociali. Che eroe nazionale è?
E sempre oggi mi sono ritrovato in ambienti massmediali nei quali “tacere e far finta di niente” dovrebbe esser giusto, in nome di “noi non dobbiamo entrare in merito alla politica”.
Allora io, voi, dovremmo annullarci, scomparire, poiché la civiltà è politica, è nata con la organizzazione complessa di gruppi umani. Non possiamo neppure pensare di imitare altri animali, poiché tutte le società viventi fanno politica! La loro, s’intende. E anche tacere o fare gli gnorri sono politica. La mafia è politica. Nel nostro sistema politico, nella nostra democrazia, giovanissima, di soli 67 anni!, il valore fondante è la libertà di pensiero, la libertà di confronto, l’accettazione delle diversità, la lotta ai prepotenti, agli accaparratori e ai corruttori, altro valore fondante è che tu puoi sbagliare ma non perseverare, e se diventi un leader non puoi cambiar le carte in tavola nel gioco della democrazia per aver tuoi tornaconti personali al posto di quelli del bene collettivo e della ridistribuzione dei beni. Anche molti degli imbonitori sulla cresta dell’onda pensano che siano esempi validi quelli del Francesco d’Assisi o del Gesù Cristo rabbino (=maestro) di Betlemme, e te lo dicono nelle loro propagande: che siano giudicati anche su questo!
Di fronte alla notizia di un lutto, di una morte non si può provare alcuna gioia, anzi mi viene tristezza poiché penso che anche la mia dipartita si avvicini, e qualcuno si rattristerà anche per me.
Ma quando morrò tutti quelli che mi avranno conosciuto mi giudicheranno, perché ho segnato con la mia esperienza e con le mie azioni anche lo loro vita. Quindi il giudizio è necessario! E i posteri sapranno come ho segnato la (loro) storia, e quel giudizio sarà importante: che vada in un senso o vada in un altro il giudizio sarà dovuto e non una mancanza di rispetto. Nessuno dovrebbe santificarmi se ho avuto condotte avide e non dovrebbe esserci una legge ad hoc che imponga il lutto nazionale per me.
Perché, oggi, che sento intorno a me, tra noi persone comuni, quel certo timore reverenziale che tende alla silenziosa sottomissione alla decisione dell’attuale governo di proclamare il lutto nazionale, mi sembra di esser tornato a scuola, in servizio … perché rimandiamo continuamente il tempo di esser sinceramente dissidenti come vorremmo dentro di noi?\___________________
Saluto volentieri il rettore della Università per Stranieri di Siena che ha scritto il suo pensiero e disposto a sua decisione contro il decreto sul lutto nazionale ad hoc:
“Scrivo a tutta la comunità per assumermi la responsabilità di una scelta, evidentemente controcorrente, in occasione della scomparsa di Silvio Berlusconi.
Di fronte a questa notizia naturalmente non si può provare alcuna gioia, anzi la tristezza che si prova di fronte ad ogni morte. Ma il giudizio, quello sì, è necessario: perché è vero che Berlusconi ha segnato la storia, ma lo ha fatto lasciando il mondo e l’Italia assai peggiori di come li aveva trovati. Dalla P2 ai rapporti con la mafia via Dell’Utri, dal disprezzo della giustizia alla mercificazione di tutto (a partire dal corpo delle donne, nelle sue tv), dal fiero sdoganamento dei fascisti al governo alla menzogna come metodo sistematico, dall’interesse personale come unico metro alla speculazione edilizia come distruzione della natura. In questo, e in moltissimo altro, Berlusconi è stato il contrario esatto di uno statista, anzi il rovesciamento grottesco del progetto della Costituzione. Nessun odio, ma nessuna santificazione ipocrita. Ricordare chi è stato, è oggi un dovere civile.
Per queste ragioni, nonostante che la Presidenza del Consiglio abbia disposto (https://www.governo.it/it/articolo/bandiere-mezzasta-sugli-edifici-pubblici-e-lutto-nazionale-la-scomparsa-del-presidente) le bandiere a mezz’asta su tutti gli edifici pubblici da oggi a mercoledì (giorno dei funerali di Stato e lutto nazionale), mi assumo personalmente la responsabilità di disporre che le bandiere di Unistrasi non scendano.
Ognuno obbedisce infine alla propria coscienza, e una università che si inchini a una storia come quella non è una università.
Col più cordiale saluto,
il Rettore Tomaso Montanari
Professore ordinario di Storia dell’arte moderna
Rettore dell’Università per Stranieri di Siena.”
Non so scrivere bene ma, voglio esprimere il mio pensiero su tutta questa vicenda, rispettando a priori il dolore della famiglia di Berlusconi. Condivido tutto quello che hanno scritto il Prof. Luti e il Prof. Montanari. È vero, Berlusconi ha segnato la storia di questo paese ma, in negativo. Noi italiani però, non abbiamo molta memoria, anzi dimentichiamo troppo presto (vedi caso Craxi, personaggio idolatrato da tanti che dicono che è morto in esilio invece di dire che è fuggito per non andare in galera). In questo caso addirittura la memoria per tanti è scomparsa del tutto e l’ipocrisia e il servilismo la fanno da padroni. Per questo bisogna parlarne e ricordare, per le generazioni future affinché tutti possano conoscere i fatti avvenuti. La storia va sempre tramandata, affinché la libertà non venga soffocata con l’oblio.