Rientro dal futuro.

Sulla nave del ritorno….

Dopo dieci anni, vissuti in Melbourne (1958-‘68) i miei genitori decisero di ritornare al loro paesello. Noi tre sorelle, Loretta di 5, Maria di 7 e io di15 anni, non eravamo affatto contente. Avremo dovuto lasciare i compagni di scuola, amici e parenti a noi molto cari.
I giorni della partenza si avvicinavano, ed era ora di preparare le valige e bauli. Avevamo tanta roba da portare in Italia. La casa di nostra proprietà fu venduta agli zii che non avevano intenzione di lasciare quella terra.
Arrivò il triste giorno. I nostri parenti ci accompagnarono al Melbourne Harbour, al porto.

Con le lacrime agli occhi ci salutammo tra lunghi abbracci e baci. Mentre salivavamo sulla scaletta che portava a bordo della nave, ci voltammo per dare un ultimo saluto.Fummo accompagnati nella nostra cabina dai marinai. Indossavano una divisa bianca. Eravamo molto tristi. Da subito la nostalgia si fece sentire. Entrammo nel nostro alloggio. Era molto piccolo. C’erano i letti a castello, un misero tavolo ed una sedia. Il bagno e la toilet erano appena fuori della cabina. Ricordo che mia mamma voltava lo sguardo intorno alla stanza. Ci disse: “Vedete quell’oblò, siamo con i pesci!”
I piani dell’imbarcazione erano distinti dal diverso colore della moquette, il nostro piano era di colore verde. C’erano ascensori ovunque. La prima notte mia mamma patì tanto mal di mare, invece noi altri stavamo abbastanza bene, ma non riuscimmo a dormire. Mentre navigavamo avevamo la sensazione che la nave fosse ferma.
La prima notte era passata.
Al mattino ci preparammo per andare al ristorante a fare colazione. Ricordo l’odore del cibo che mi faceva venire la nausea. Appena entrati nella sala, notai un’anziana signora seduta al tavolo da sola. A me sembrava avesse cento anni. Era ben vestita con il cappellino in testa e truccata con un rossetto molto evidente. Non avevo mai visto tanta mescolanza di pietanze. D’avanti a lei c’era di tutto, prugne, cereali, yogurt, marmellata, pane abbrustolito, burro, una tazza di latte ed un bel bicchiere di spremuta d’arancia. Quella mattina la mamma non venne ed io mangiai poco o niente.
Ero molto curiosa di visitare la nave. Iniziai ad entrare negli ascensori e mi avventurai alla scoperta di questa enorme nave di nome Guglielmo Marconi. Quel giorno non incontrai nessuno, anche se a bordo c’erano tantissime persone. Uscivo dalla cabina molto volte da sola perché gli altri preferivano stare li dentro. Una volta mi fermai ad un piano perché vidi molta gente fuori nel corridoio, in attesa d’avanti ad una grande porta. Quando aprirono il portone uscì tanta gente da quella stanza, e tutti quelli in attesa entrarono. Era la sala cinematografica. Entrai anch’io, mi accomodai nella poltroncina ed a quell’ora era in programma la visione di un vecchio film americano. Quando ritornai in cabina i miei genitori mi rimproverarono per la mia assenza perché mancavo da un bel po’ di tempo. Ritornai al cinema altre volte durante il viaggio. Mi divertivo.
Dopo alcuni giorni la mamma iniziò a stare meglio e tutti noi cinque facevamo delle passeggiate in questa enorme imbarcazione. Quando eravamo sul ponte aperto della nave rimasi meravigliata a vedere le grandi onde che battevano ferocemente sui fianchi della nave. L’oceano era infinito. Si vedevano i pescecani saltare fuori e dentro l’acqua. Il vento portava l’odore del mare nelle narici. All’improvviso mio babbo si rese conto che mia sorella, si era allontanata. Eravamo nel panico. I miei genitori cominciarono a correre destra e a sinistra urlando il suo nome. “Maria, Maria, Maria”. Tutt’un tratto si udì la voce del Capitano dall’altoparlante, avvisando tutti che una bambina bionda con occhi celesti era stata accompagnata in ufficio. Lei si era allontanata da noi ed era rimasta sola. Quando andammo a prenderla, piangeva. I miei genitori tra contentezza e rabbia l’abbracciarono teneramente. Ringraziarono il Capitano e lo staff per la loro prontezza e gentilezza.
Dopo diversi giorni di navigazione senza vedere terra, arrivammo al porto di Bombay per fare rifornimento di carburante e cibo. Nel periodo in cui la nave era ancorata al porto si vedevano tanti bambini a terra che gesticolavano con le manine tese chiedendo soldi ai passeggeri. Tanti di loro iniziarono a tirare i soldi. A quel punto alcuni ragazzi si tuffarono in acqua per chiappare le monetine. Mi dispiaceva essere presente a questa scena, credevo si vedesse solo nei film. Verso sera riprendemmo il viaggio. Il mare era calmo.
Tutte le sere dopo cena c’era un intrattenimento. Con un sorriso sulle labbra ricordo la serata in maschera. Noi non partecipammo, ma quando sentii la musica mi affacciai all’oblò della porta e nella sala da ballo vidi tanta gente. Mi è rimasta impressa una bella ragazza vestita da cameriera. Era molto bella e sexy. L’ammirai.
Trascorsi ormai venti giorni ci abituammo a quello stile di vita.
Una mattina fummo avvisati dai marinai che la nave durante la notte aveva incontrato mal tempo e si era fermata. Noi dormivamo e non ci accorgemmo di questo scampato pericolo. Quando attraversammo l’equatore, il fuso orario ed il giorno cambiarono, consapevoli di essere entrati dall’altra parte del mondo. Come di consueto per l’evento venne organizzata una grande festa. C’era tanta allegria intorno a noi.
A bordo, era possibile frequentare il bar. Il pomeriggio andavo a bere una bibita. Ricordo che mi piaceva stare seduta sullo sgabello al banco. In uno di quei momenti sentii alla radio la prima canzone cantata in lingua Italiana. Mi piaceva. Era molto orecchiabile. Anch’io la canticchiavo.
“Marina, Marina, Marina,
ti voglio più presto sposar.
Oh mia bella mora,
no non mi lasciare,
non mi devi rovinare,
oh, no, no, no, no, no…”
Dopo tanti giorni trascorsi su quel bestione, incontrai un giovane marinaio. Si presentò. Si chiamava Sammy, anch’io mi presentai. Mi chiese se poteva avere l’onore di accompagnarmi. Durante i nostri casuali incontri salivamo spesso sull’ascensore. Ero molto timida. Una volta durante i nostri spostamenti, all’improvviso si avvicinò, mi abbracciò stretta e mi baciò. Quello fu il mio primo bacio. E non mi piacque. Accorgendosi del mio imbarazzo e della mia giovane età si scusò. Non era più successo. Nei giorni seguenti si dimostrò molto gentile e prima che io scalassi dalla nave mi regalò un libro per ricordo, scrivendomi una bella dedica.
Dopo trentadue giorni di navigazione, finalmente, il 23 Giugno del 1968 arrivammo a destinazione. Con i nostri bagagli appresso eravamo al Porto di Genova. Ad aspettarci c’era il cugino di mio babbo che era una guardia di finanza del porto e con lui c’erano alcuni parenti da Gallicano. Loro erano in attesa del nostro arrivo già dalla la mattina presto, perché non volevano arrivare in ritardo per accoglierci. Noi bambine siamo state travolte dall’affetto di questa gente che non avevamo mai visto prima. Ci fecero tanti complimenti e ci chiedevano in continuazione se avevamo fame, sete e se volevamo qualcosa.
Il tragitto da Genova e Gallicano lo facemmo tutti insieme con il treno.

Sono stata tanti anni senza parlare di questo viaggio perché non mi rendeva felice. Adesso mi piace ricordarlo e raccontarlo, fino al punto di ringraziare i miei genitori per avermi regalato questa lunga ed unica crociera, che mai più nella mia vita ripeterò.

Emma