adulti ancora a scuola

Quando le biciclette non erano green-cose

In questo articolo ritroviamo EVa Dritta e Negro Amaro, due personaggi che nel blog  si intrufolano attraverso l’argomento Scrivere e Raccontare, sono intervenuti alcune volte, come in LA MEMORIA, LE PAROLE E LE SENSAZIONI.  

(ascolto audio di prova, sarà sostituito)

Nell’Isola delle Mascherine, sotto lo sguardo imponente della Pania (in-ponente proprio letteralmente per i Barghigiani, dato che Bella Sempre sta ad ovest) seduti sulla panchina gialla di Sul Ponte, proprio a fianco della English telephone box rossa, quei due stanno chiacchierando del più e del meno. Sì, oggi c’è il sole bello e tiepido del nostro novembre 2021. Son le due e poco più nel pomeriggio.
– Hai visto, tutti i giorni qui in Italia si commemora o si ricorda qualcosa, il povero Mattarella passa il tempo a cosa dir ogni volta. Lui è bravo, dice cose sensate e indica strade che mi piacciono…- dice Negro Amaro ed EVa Dritta: “Sai, deve essere difficile ricordare, altrimenti perché farne una litania continua, una sollecitazione continua … quasi a scongiurare l’oblio delle esperienze passate, che spesso sono di segno che oggi giudichiamo negativo, ma altrettanto spesso si sente celebrare esempi come buoni, di comportamenti giusti. Almeno così mi sembra.”
Un po’ di pausa, le macchine che passano, i motorini dei ragazzotti usciti appena da scuola che rombano, le persone da salutare e sorridere a loro e al bel clima del primo pomeriggio. Poi EVa Dritta, che c’ha i nipotini e alle quatto deve andare per seguirli nei compiti, continua il discorso.
“Una volta c’era più passa parola, e le cose si sapevano perché si rammentavano da generazione a generazione, da quando le famiglie si son diradate, cioè ognuno sta per conto suo, manca proprio il ricordare, a chi le racconti le storie se stai da sola? E poi in casa, anche quando ci sono i nostri, il tempo è così breve e preso per le cose correnti, anche scemate, o lutti, che non si crea quasi mai l’occasione di raccontare, di ricordare appunto, rilassàti. Insomma nuove parabole oggi è difficile che circolino. Sei d’accordo?”
– L’altro giorno sono stato a trovare l’Armando, lui sta ancora nella casa che gli hanno lasciato i suoi vecchi, un palazzone grande, ma son solo lui e la su’ moglie. Ma ch’ha la nora e il figliolo che han fatto la casa proprio nel su’ giardino. Gli va bene. –
“Lui ha i suoi anni, allora!  E avete parlato anche dei ricordi?”
– Armando ne voleva parlare … –

«Fammi pensare. Lo sai quando ti devi concentrare e rientrare nei panni… di quando eri giovane, bimbetto … oggi mi ci vuole un po’. Sai ci sono dei momenti che mi tornano in mente episodi della guerra, del fronte, di guerra qui a Fornaci ce n’è stata, la mia nonna è morta sotto una bomba di cannone che veniva dalla Garfagnana. A casa sua, a Fornaci, dove oggi vende i fiori il Pierantoni.»
Negro era andato a casa dell’Armando su al secondo piano, vicino alle Due Strade, quel popò di casamento che è poco sopra il cinema Puccini, l’Anna aveva fatto il the e se lo stavano sorseggiando. E Armando:
 «Il fronte era a Sommocolonia, nel paese, qui, c’erano gli americani. In Lama c’erano i tedeschi, io stavo a Fornaci… sentivo parlare la gente… avevo 14 anni, quindi ero giovanottello, portavo ancora i pantaloni corti ma capivo, i tedeschi che erano piazzati anche all’Abetone avevano spostato truppe a Sommocolonia. I tedeschi pensavano che era festa e che attaccare fosse una buona mossa per sfondare; lo capimmo dopo, la gente qui a Fornaci. E anche gli americani. Il giorno era il Santo Stefano del ’44, il giorno dopo Natale. I Tedeschi attaccarono. Ci fu una battaglia che durò tutta la mattinata fino alle due del pomeriggio… I tedeschi sfondarono, arrivarono a Barga, a Fornaci, dopo Pontallania si fermarono alla Dogana perché c’erano le truppe dei marocchini che l’aspettavano.
Io ero con la famiglia, eravamo già sfollati a Filecchio, e allora si andò al Borgo. Si andò sfollati verso Borgamozzano io con la zia Erminia e la nonna Adele, la zia Florinda rimase a Fileccho in casa di una amica.  Tutta la fila della gente che scappava in giù. Io c’avevo la bicicletta, quella da donna della mia mamma, con tutti i pacchi sopra e c’era una passerella a Calavorno per passare il fiume, perché il ponte era stato bombardato, crollato. Si rimase sfollati al Borgo più di un mese, in casa di conoscenti. Noi sfollati si andava dai frati del Borgo a prendere il mangiare, io ci andavo col pentolino per me e la zia Erminia, la nonna Adele la lasciammo per strada, a Ghivizzano da altri conoscenti. Che mi ricordi, nel vicinato, a Fornaci rimase solo l’Italo, stava lì al Bernardini, non se ne andò, io c’ho la rivoltella e non mi fanno paura, io rimango qui, diceva. Tra la gente c’era paura, ma era così. In quel periodo la guerra era una cosa dei tedeschi e degli americani, noi eravamo in mezzo e come sordi non si sapeva quasi niente, si subiva; non c’erano, non mi ricordo, non c’erano soldati italiani. Al rientro in casa a Fornaci i marocchini avevano usato la nostra casa, era tutto in disordine, malandato.»
Ci ripensa Negro Amaro, e c’è ancora il sole tiepido sulla panchina gialla. Gli scorrono le immagini davanti mentre racconta del racconto di Armando. E gli tornano in mente le fotografie che gli aveva fatto vedere da un album che ormai sfalda dall’usura del tempo, ma conservato per bene in casa assieme alla moglie Anna.
Quei due sulla panchina al sole, nati nel secondo dopo guerra, le cose, le vicende che racconta l’Armando sono pronti ad immaginarle, molto avevano letto sui libri, veduto nei documentari o nelle ricostruzioni cinematografiche, però il racconto di quel racconto stimola la mente di EVa Dritta fino a farle pensare, con una certa ironia, che il nome Armando, nato in pieno ventennio, era qualcosa di epocale con quel suo gerundio. Poi scacciò quel pensiero burlone e disse:
“È difficile ricordare…”
– Vedi, se è difficile ricordare, allora è per questo che hanno messo su tutte queste giornate del ricordo. E devono essere tante perché sono tante le cose da ricordare!? E non valgono i valori e i comandamenti, ci vuole chi richiami al ricordo. Hai visto quante donne fanno fuori, e proprio in famiglia o giù di lì, quanti morti sul lavoro? Uno parte per andassi a guadagnare il pane e lo ripigliano a casa stecchito. E poi i muri. Sembrava che abbattere il muro di Berlino fosse stato un traguardo dal quale non tornare indietro, invece … va bene che erano tutti tra poveri italiani, ma quando l’Armando racconta degli sfollati sembra che abbia trovato grande accoglienza per chi stava peggio e doveva fuggire. Non ti sembra? –
A Negro Amaro tornano, ancora, in mente gli episodi raccontatigli dall’Armando …

«Lungo il fiume avevamo gli orti di guerra, si seminava i fagioli … non veniva quasi nulla, si vangava a braccia, io poco per la verità, non veniva nulla. Quella volta, era estate, era il tempo nel quale si andava a fare il bagno … l’acqua era bella, eravamo ai Retoni, su verso dove ora c’è la rotonda dei marinai, gli argini coi sassi nei retoni, c’era un bozzo grande e profondo, ci si faceva il bagno. I ponti erano già stati tutti bombardati, sul fiume c’erano solo le passerelle, la più importante era a Calavorno. Quel giorno bombardavano la stazione di Fornaci. Io ero nel fiume con tre amici, il treno era fermo alla stazione di Fornaci, accanto c’era la SMI, gli aerei facevano il giro e mitragliavano il treno nella stazione, una donna la ritrovammo a Filecchio, dove eravamo sfollati, era stata ferita dalla mitragliata, lei era di Livorno…
Ci si butta per terra sdraiati, si vedevano anche le bombe che cadevano dagli arei, io raccolsi un bossolo che era ancora caldo e lo portai a casa, adesso ce l’ha il mio figliolo Andrea nella sua taverna.»
“Vedi, vedi cosa succede? In questi casi penso che sia bene usare le parole per ricordare, perché le parole raccontano meglio i patemi d’animo, le sensazioni vissute da altri, non credi? Gli oggetti possono finire chissà dove, mescolati con altri oggetti tra i soprammobili perdono il loro valore di testimonianza. “
– EVa, hai ragione! Andrebbero accompagnati da un foglietto che spieghi cosa sono, che reliquia sono, come i cartellini nei musei per capirci qualcosa. –
«Non mi ricordo, eravamo talmente abituati alla guerra che ci comportavamo come non dovessimo aver paura. Tanto a che serviva? La vita trascorreva in mezzo alla guerra. Dentro Fornaci, dove c’è adesso il Pierantoni dei fiori, venne una cannonata piena di schegge, fu ferita la mia mamma e la mia nonna morì. Erano a casa loro. La mia mamma fu ferita a una gamba, alla coscia e la portarono a Lucca all’ospedale. Il mio babbo fu ospitato a Ponte a Moriano da conoscenti e andava a Lucca tutti i giorni a trovarla. … Ero a casa del Bernardini e mi vennero a cercare, mi vennero a prendere e capii subito che era successo qualcosa di grave. Una cannonata che veniva su dalla Garfagnana. Capitava spesso che cannonavano, eravamo ai piedi del fronte e …»
– Sai, gliel’ho chiesto, se se lo ricordava… se si ricordava dei pensieri e degli stati d’animo… Sai, penso che a volte sia difficile cercare di rimettersi in quelle situazioni e sentirsi strizzare il cuore dentro. Così si può preferire raccontare del guscio, come non avesse contenuto il tuorlo. –
«Non avevo paura, eravamo abituati il tribolo, era nel conto, gli adulti tiravano avanti e noi dietro ingenui. I mitragliamenti erano roba del giorno.»
La Pania ascolta, come ogni giorno ascolta i discorsi e vibra per i sentimenti di tutti quei bipedi che costruiscono la civiltà ai suoi piedi, ma il Monte Gragno e la Palodina, a sentir l’Armando che raccontava, quel giorno, si ammollarono e la Polla Gangheri cominciò a mescer di più.
«Ero figlio della lupa, poi balilla, tutti i sabati pomeriggi, per quelli della scuola pubblica al Campone c’era il raduno e facevano marce, ginnastica. Io frequentavo la scuola privata e non occorreva che andassi … sono nato in pieno regime, nel ’30. Quel giorno che Mussolini dichiarò andammo tutti ai Casermoni della Smi e c’era l’altoparlante e si andò ad ascoltare il discorso del duce che dichiarò che si entrava in guerra, la mia nonna si mise a piangere, io ero bimbetto e le cose mi passavano sopra, mi sembrava tutto normale, c’eravamo nati dentro. Adesso i ragazzi tremerebbero da morire.»
“Vedi Negro, quando le cose si vivono, spesso, non sappiamo distinguere, ci sembra normale, sennò come te lo spieghi che la gente subisce e subisce? Forse ricordare serve per imparare a distinguere. Ci sono civiltà che hanno fatto del ricordo una strada pulita, una piastrellata di valori che superano i secoli. Almeno così ho capito, e mi sembra che possa essere questa una cosa bona. Forse che anche il Mattarella stia rimettendo a posto le piastrelle dei valori che si sono confuse negli anni? “
– Beh, ma l’Armando… ascolta che mi ha anche detto… –

«La mia famiglia era benestante per quel tempo, mio zio Luigi e la zia Erminia, mio babbo pure, avevano la posta, lavoravano alla Posta, titolare era la nonna Adele, moglie dell’Ermanno che ha fatto la casa nel 1903, dove ora abito.  La zia Fiorinda era maestra e faceva la scuola privata, aveva alunni di tutte le classi, dalla prima alla quinta, molti impiegati della SMI mandavano i loro figli lì invece di mandarli a scuola comunale. Li preparava e poi alla fine dell’anno li portava alla scuola comunale per gli esami. La Posta era importante, aveva il telegrafo, il mi’ babbo senza guardare la striscia, solo dal tic tac diceva cosa c’era scritto … La posta era ereditaria… c’è una foto dove c’è la mia nonna e si vede la macchina del duce che è ferma lì al Puccini, poco prima della Posta, a casa mia, faceva una sosta per poi ripartire per Barga.»
Negro Amaro a questo punto ricorda a EVa che l’Armando è stato professore alle scuole, anche al liceo, professore di matematica, mica ce n’erano tanti di laureati in quel tempo. EVa Dritta ci tiene a riflettere sul fatto che nonna Adele (Pellegrini) era la titolare della Posta, quindi era una donna manager nella Fornaci di allora, forse impegnata in mille cose,  forse era lei  che doveva tirare avanti in ogni affare.
«La mia balia … era la mamma del Lucidino. Da bambino stavo al Caterozzo, lì dalla Pierantoni di oggi, e col mio amico Germano eravamo quasi sempre assieme, lui abitava nella casa attaccata alla mia. Mi viene in mente che davanti a casa mia, dove c’è ora piazza IV Novembre, c’erano dei magazzini, non mi ricordo bene, ma delle sere, verso l’imbrunire tanti carri trainati da cavalli venivano caricati di cose da mangiare, di rifornimenti che portavano a Pisa, rifornimenti per le truppe, il fronte allora doveva essere là, sentivo dire che erano dei prigionieri di guerra dell’est, dei polacchi, che erano incaricati fare quei viaggi rischiosi, potevano essere avvistati o bombardati, per questo partivano di sericcia. Il prima e il dopo mi viene male da rimettere a posto, ma quando torni e ci troviamo forse … Mi ricordo anche altre cose normali, là verso Pian di Coreglia per attraversare il fiume non c’era un ponte, ma la funi-zattera, c’era un una fune che andava da una sponda all’altra, tesa poco sopra l’acqua e la gente ci saliva su e con le braccia sulla fune si trainava dall’altra parte, era per tutti e non si pagava, la sera la usavano di più gli innamorati che andavano sotto casa delle ragazze. La Dora, la mi’ nora, dice ecco forse è per quello che ci si chiama al Barchetto! ….
Quando non c’era la guerra noi si andava a Viareggio d’estate, si prendeva una casa … da studente ho conosciuto la mia moglie perché la sua mamma la portava con sé a trovare le mie zie Florinda e Adele, che poi sono rimaste zitelle, come lo zio Luigi. Solo il mio babbo si sposò.
La mia futura suocera era brava a leggere i fondi del the rimasti sul fondo della tazza.»

Stanno lì sulla panchina gialla da una ventina di minuti e ragionano, EVa Dritta e Negro Amaro. Le cose che si dicono, per come le commentano, diventano sempre più complesse; non è facile fare chiarezza nel presente, figurati in quel passato che hai subìto campando; senza una buona abitudine a raccontarlo e a fartelo riraccontare è facile che diventi opaco, confusionato, sconnesso. Ma comunque parlarne è un buon allenamento per la mente, per la conoscenza reciproca, per apprezzare la fatica che si fa vivendo, nel senso di invecchiare, poiché vuol dire adattarsi a grandi mutamenti, anche repentini a volte, che siamo costretti a digerire affinché magari ci travolgano ma non ci portino in Sigliari. Dal 1930 quante rivoluzioni hanno toccato chi ha vissuto tanto?!
Il sole? Lì Sul Ponte il sole c’è ancora, ma una brezza freschina che viene su da Val di Lago convince Negro ed EVa a salutarsi.

 

 

2 Risposte a “Quando le biciclette non erano green-cose”

  1. Quanti quadri veri! Esperienze estreme che hanno straziato e fortificato giovani vite. Tutte vive nei ricordi che i familiari più stretti, ma anche anziani della comunità, hanno trasmesso.
    “…sembrava tutto normale, perchè c’eravamo nati dentro”, dice l’Armando. L’Armando,il Prof.Armando Luchini, il mio insegnante di Matematica alle Scuole Medie (solo una breve parentesi con la Prof.Tina Iacomini). Mi ha commosso. Da qualche tempo non lo vedo.
    Una figura alta e magrissima, preparato ed arguto. Era un piacere risolvere con lui le espressioni algebriche o tentare ragionamenti più complessi (pur non avendo io particolare attitudine alla matematica). Grande amico del Prof.Giuliano Giuliani, con cui aveva condiviso gli studi matematici.

  2. Bel racconto di storie del passato.
    Quando vivevo in Melbourne, qualchè volta ho sentito mia mamma e babbo con amici, anche loro di Gallicano, parlare della guerra, ma non ho mai approfondito l’argomento e non stavo attenta alle loro parole. Invece quando siamo ritornati in Italia questi discorsi l’ho sentiti più frequenti dalla gente del posto. Mia nonna Maria, abitava nel Centro Storico del paese , sotto il Duomo di San Jacopo, ed aveva un giardinetto, l’unico in quella zona. Ogni giorno d’estate le donne che abitavano nelle ” cariole” si riunivano da lei e trascorrevano tutto il pomeriggio insieme. Erano tante ed ogni una portava la sua “seggiolina”. Allora in quei momenti mi aggregavo anch’io ed ascoltavo molto incuriosita di quanto avevo da raccontare. Nel libro “VIENI A VEJò TERE'” ho letto le testimonianze di tanta gente che raccontavano tanto del loro passato. Le veglie erano molto usuale una volta e la gente si incontrava di più. Negli anni passati nelle casa vivevano più generazione e tutti raccontavano qualcosa. Stavamo più insieme. Adesso faccio fatica raccontare le mie esperienze ai miei nipoti, loro sono molto impegnati ed anche noi adulti siamo diversi, tutto e diverso. Abbiamo altre abitudini. in verità stiamo tutti più da soli……..
    Grazie Professore…….

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