adulti ancora a scuola

DEMOCRAZIA NON E’ UN TERMINE ASSOLUTO


DEMOCRAZIA NON È UN TERMINE ASSOLUTO, anzi descrive la realtà ed il contesto soltanto se viene definita con l’uso di aggettivi.

Mi sono chiesta tante volte “perché i padri costituenti abbiano inserito il Referendum solamente abrogativo nella legge costituzionale” e non abbiano introdotto anche il referendum propositivo. Devo confessare che via via ho trovato risposte. O meglio opzioni per rispondere. Inizierei col dire che loro, i padri costituenti, avevano in mente una democrazia rappresentativa e per quella stavano buttando giù la legge fondamentale. Quindi, i cittadini avrebbero scelto i loro rappresentanti e questi avrebbero dovuto fare leggi portando in Parlamento il pensiero dei loro elettori, anche i loro bisogni, le loro aspettative per un futuro sempre più aperto ed equo. Me li immagino utopisti i padri costituenti, non gente superficialotta e accaparratrice.  I cittadini avrebbero dovuto proporre le leggi attraverso i loro stessi rappresentanti; era grande la certezza che chi fosse stato eletto sarebbe stato davvero tra la gente e non si sarebbe creato un baronato per una poltrona fissa. Quindi, non sarebbe stato utile ammettere un referendum propositivo, altrimenti sarebbe stato svilito il ruolo dei rappresentanti eletti! Ma un dubbio latente rimaneva e, cioè, che avrebbero potuto, gli onorevoli e i senatori, sbarrocciare; per questo venne introdotta la possibilità di referendum abrogativo; i cittadini avrebbero comunque potuto cassare le leggi fatte; con tempi lunghi, ma lo avrebbero potuto fare.

Così fu introdotta una limitata concessione alla democrazia diretta. Un po’ come estrema ratio, nel caso che il Parlamento non fosse in grado di operare con la dovuta lungimiranza e si incantasse all’idea che una legge è per sempre, invece di essere approvata – applicata – provata – modificata negli anni successivi all’approvazione in base all’evoluzione di nuovi bisogni, di nuovi diritti, di nuove visioni di democrazia partecipata. Così una efficiente democrazia parlamentare dovrebbe fare!

Ora, che siamo nel prossimo futuro, sappiamo purtroppo che in Italia di leggi ce ne sono troppe perché se ne fanno di nuove ma non se ne cassa alcuna di quelle vecchie, anzi si rimanda! Abbiamo una legislazione sedimentaria, appesantita, quindi lenta, quindi che non fa funzionare la burocrazia dello Stato, quindi che punisce i cittadini anche a non far niente.

Purtroppo! La difesa dello status quo, cioè la scarsa propensione a riformare e ad adeguare le leggi a nuove esigenze epocali sono malattie diffuse nella nostra classe politica, più poltronara che creativa e visionaria di un futuro migliore per tutti. La sensazione è che sia un po’ goffa nell’amministrare i beni comuni, ma quasi mai per seguire i propri tornaconti o per portar la voce e la volpaggine delle lobby che la corteggiano. Poi ci sono anche onorevoli e deputati sinceri e armati di democrazia, certamente. Ma devono essere pochi, perché altrimenti non si spiega la gran palude in cui ci hanno cacciati e ci cacciano, noi cittadini, ad ogni pie’ sospinto.

Così, nella nostra repubblica i cambiamenti epocali veramente democratici sono avvenuti solo  per metà dal parto delle nostre classi dirigenti, e mi vengono in mente Enel e la energia elettrica ovunque, la scuola media unica, il servizio sanitario nazionale, il nuovo diritto di famiglia; l’altra metà sono frutto di scossoni popolari e di referendum abrogativi: ricordo la università aperta anche ai ceti più deboli ( frutto della contestazione studentesca) (poi rimangiata in parte con l’introduzione dei numeri chiusi alle facoltà), la legge sul divorzio e la legge sulla interruzione volontaria della gravidanza frutto di referendum abrogativi, lo stop alle centrali nucleari cui, purtroppo,  non è seguita la diffusione delle tecnologie per una energia da fonti rinnovabili (ecco qui si capisce bene la goffaggine!).

E chi ne sa più di me potrebbe migliorare questi elenchi.

Articolo 75

E` indetto referendum popolare [cfr. art. 87 c. 6] per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge [cfr. artt. 7677], quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio [cfr. art. 81], di amnistia e di indulto [cfr. art. 79], di autorizzazione a ratificare trattati internazionali [cfr. art. 80].
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
La legge determina le modalità di attuazione del referendum.

Ed oggi siamo di fronte a nuovi cinque quesiti referendari. Il 12 giugno 2022 si aprono i seggi. Li hanno chiamati referendum sulla giustizia. Sembrerebbe una questione cardine del sistema democratico.
I 5 referendum per la giustizia “giusta” sono stati promossi dal Partito Radicale e dal partito della Lega; chiunque ha potuto aderire alla campagna, partito, organizzazione o persona fisica.

I cinquecentomila cittadini che hanno firmato la richiesta di referendum sono stati sollecitati da partiti politici, uno dei quali assai consistente e con le mani in pasta in governi dell’ultima legislatura. Allora si può dedurre che hanno incontrato difficoltà e resistenze a portare avanti nel Parlamento la loro riforma della giustizia. Della necessità della riforma del sistema giudiziario, del suo snellimento e del recupero della sua efficienza se ne parla da 25 anni e più.
E quindi i rappresentanti eletti sono tornati dai cittadini elettori a chiedere aiuto per toccare quel sistema della giustizia ingessato.
In pratica hanno fatto un uso strumentale dell’istituto del referendum.

E i quesiti sono CINQUE, ma secondo la legge del menga sono descritti sulle schede in quel politichese che non aiuta i cittadini a comprendere di che cosa si stia trattando.

Si possono leggere qua sotto:

Testo dei quesiti dei referendum popolari:

  1. «Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n.190)?»
  2. «Volete voi che sia abrogato il decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n.447 (Approvazione del codice di procedura penale) risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.274, comma 1, lettera c), limitatamente alle parole: “o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’art.7 della legge 2 maggio 1974, n.195 e successive modificazioni.”?»
  3. «Volete voi che siano abrogati: l'”Ordinamento giudiziario” approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.192, comma 6, limitatamente alle parole: “, salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del Consiglio superiore della magistratura”; la legge 4 gennaio 1963, n.1 (Disposizioni per l’aumento degli organici della Magistratura e per le promozioni), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.18, comma 3: “La Commissione di scrutinio dichiara, per ciascun magistrato scrutinato, se e’ idoneo a funzioni direttive, se è idoneo alle funzioni giudicanti o alle requirenti o ad entrambe, ovvero alle une a preferenza delle altre”; il decreto legislativo 30 gennaio 2006, n.26, recante «Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’art. 1, comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n.150», nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.23, comma 1, limitatamente alle parole: “nonche’ per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa”; il decreto legislativo 5 aprile 2006, n.160, recante “Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n.150”, nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, in particolare dall’art.2, comma 4 della legge 30 luglio 2007, n.111 e dall’art.3-bis, comma 4, lettera b) del decreto-legge 29 dicembre 2009, n.193, convertito, con modificazioni, in legge 22 febbraio 2010, n.24, limitatamente alle seguenti parti: art.11, comma 2, limitatamente alle parole: “riferita a periodi in cui il magistrato ha svolto funzioni giudicanti o requirenti”; art.13, riguardo alla rubrica del medesimo, limitatamente alle parole: “e passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa”; art.13, comma 1, limitatamente alle parole: “il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti,”; art.13, comma 3: “3. Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non e’ consentito all’interno dello stesso distretto, ne’ all’interno di altri distretti della stessa regione, ne’ con riferimento al capoluogo del distretto di corte di appello determinato ai sensi dell’art.11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni. Il passaggio di cui al presente comma può essere richiesto dall’interessato, per non più di quattro volte nell’arco dell’intera carriera, dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata ed è disposto a seguito di procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario. Per tale giudizio di idoneità il consiglio giudiziario deve acquisire le osservazioni del presidente della corte di appello o del procuratore generale presso la medesima corte a seconda che il magistrato eserciti funzioni giudicanti o requirenti. Il presidente della corte di appello o il procuratore generale presso la stessa corte, oltre agli elementi forniti dal capo dell’ufficio, possono acquisire anche le osservazioni del presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati e devono indicare gli elementi di fatto sulla base dei quali hanno espresso la valutazione di idoneità. Per il passaggio dalle funzioni giudicanti di legittimità alle funzioni requirenti di legittimità, e viceversa, le disposizioni del secondo e terzo periodo si applicano sostituendo al consiglio giudiziario il Consiglio direttivo della Corte di cassazione, nonché sostituendo al presidente della corte d’appello e al procuratore generale presso la medesima, rispettivamente, il primo presidente della Corte di cassazione e il procuratore generale presso la medesima.”; art.13, comma 4: “4. Ferme restando tutte le procedure previste dal comma 3, il solo divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, all’interno dello stesso distretto, all’interno di altri distretti della stessa regione e con riferimento al capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’art. 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni, non si applica nel caso in cui il magistrato che chiede il passaggio a funzioni requirenti abbia svolto negli ultimi cinque anni funzioni esclusivamente civili o del lavoro ovvero nel caso in cui il magistrato chieda il passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro. Nel primo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura civile o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. Nel secondo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura penale o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. In tutti i predetti casi il tramutamento di funzioni può realizzarsi soltanto in un diverso circondario ed in una diversa provincia rispetto a quelli di provenienza. Il tramutamento di secondo grado puo’ avvenire soltanto in un diverso distretto rispetto a quello di provenienza. La destinazione alle funzioni giudicanti civili o del lavoro del magistrato che abbia esercitato funzioni requirenti deve essere espressamente indicata nella vacanza pubblicata dal Consiglio superiore della magistratura e nel relativo provvedimento di trasferimento.”; art.13, comma 5: “5. Per il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, l’anzianità di servizio è valutata unitamente alle attitudini specifiche desunte dalle valutazioni di professionalità periodiche.”; art.13, comma 6: “6. Le limitazioni di cui al comma 3 non operano per il conferimento delle funzioni di legittimità di cui all’art.10, commi 15 e 16, nonché, limitatamente a quelle relative alla sede di destinazione, anche per le funzioni di legittimità di cui ai commi 6 e 14 dello stesso art.10, che comportino il mutamento da giudicante a requirente e viceversa.”; il decreto-legge 29 dicembre 2009, n.193, convertito, con modificazioni, in legge 22 febbraio 2010, n.24 (Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.3, comma 1, limitatamente alle parole: “Il trasferimento d’ufficio dei magistrati di cui al primo periodo del presente comma può essere disposto anche in deroga al divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti e viceversa, previsto dall’art.13, commi 3 e 4, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n.160.”?»
  4. «Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 27 gennaio 2006, n.25, recante «Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei consigli giudiziari, a norma dell’art.1, comma 1, lettera c) della legge 25 luglio 2005, n.150», risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art.8, comma 1, limitatamente alle parole “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’art.7, comma 1, lettera a)”; art.16, comma 1, limitatamente alle parole: “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’art.15, comma 1, lettere a), d) ed e)”?».
  5. «Volete voi che sia abrogata la legge 24 marzo 1958, n.195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art.25, comma 3, limitatamente alle parole “unitamente ad una lista di magistrati presentatori non inferiore a venticinque e non superiore a cinquanta. I magistrati presentatori non possono presentare più di una candidatura in ciascuno dei collegi di cui al comma 2 dell’art.23, né possono candidarsi a loro volta”?»

Si vota domenica 12 giugno, dalle ore 7 alle 23. Gli italiani sono chiamati a esprimersi sui cinque diversi quesiti referendari, che chiedono di abrogare – cioè eliminare – altrettante leggi o parti, commi o voci di esse. Ovviamente, è possibile scegliere di votare anche per uno solo dei quesiti. Quindi, quando vai al seggio a votare puoi accettare tutte e cinque le schede o richiederne soltanto alcune, quelle per cui vuoi partecipare al referendum. Poi puoi votare o sì o no, secondo tuoi intendimenti.
Ma se non c’hai capito niente?
Fai come fanno i ciuchi, è assai se balbettano qualcosa a mente, spappagallando magari qualcuno che ti ha sollecitato ad andare a votare. Insomma, voterai come ti dice qualcuno di cui ti sei fidato oppure voterai il contrario di quello che, hai sentito, voterà la persona o il partito che ti sta antipatico. Se non sai come votare è probabile che tu vada a fare una facebuccata, una cosa più di pancia che di cervello.
Se stiamo a casa è un’occasione di democrazia abrogativa mancata.
Ma non devi prendertela, se non sei riuscita a farti una idea tua sulle questioni poste dal referendum! Questa volta i 5 referendum sono per lo più tecnicisti, che sarebbe stato meglio l’avessero risolte in Parlamento certe questioni: li paghiamo apposta gli onorevoli ed i senatori! E lo stipendio se lo calcolano tra loro, e ci prendono sempre di più; l’inflazione a loro non li tocca, anzi!

Per essere valido, ogni quesito dovrà raggiungere il quorum, cioè la maggioranza degli aventi diritto in Italia. Tutti i quesiti li hai potuti leggere, per esteso, più sopra.

Torniamo da capo. Come possiamo ragionare? Già, appunto, ogni referendum, come ogni decisione, necessita di un ragionamento. Magari libero e informato.
C’è chi si è fatto un’idea sua leggendo e studiando, cercando di aggiornarsi sugli argomenti, proprio per poi esprimere la propria visione sui 5 quesiti. Secondo “coscienza”, come dicono gli onorevoli quando vogliono che tu non li incolpi di qualcosa.
La coscienza sembra sia una cosa sacra.

Dunque, vediamo. Le questioni riguardano:
– l’incandidabilità dei politici condannati,
– i motivi per i quali si può mettere in carcere o in custodia una persona indagata,
– il sistema di carriera e di valutazione dei magistrati
– l’elezione del Consiglio superiore della magistratura.

Il fac-simile della scheda rossa del primo quesito.

In Italia, chi è condannato in via definitiva per alcuni gravi reati penali non può candidarsi alle elezioni, né assumere cariche pubbliche e, se è già stato eletto, decade. Coloro che sono eletti in un ente locale, cioè gli amministratori, come i sindaci, sono invece automaticamente sospesi dopo una sentenza di condanna di primo grado (quindi non in via definitiva, dato che nel nostro ordinamento sono garantiti tre gradi di giudizio).

Se vince il “sì”, l’incandidabilità, l’incompatibilità e la sospensione dei politici condannati non saranno più automatiche ma verranno decise, poi, da un giudice caso per caso.

EVa Dritta mi ha detto l’altro giorno che questo quesito (ma anche gli altri) non tocca per nulla il male vero della giustizia in Italia: la lentezza, la incertezza del giudizio, il chiudere le stalle quando i buoi sono scappati. Vedi le cronache di questi giorni riguardo ai femminicidi, per esempio.

Il secondo quesito, scheda arancione, riguarda la limitazione delle misure cautelari.

Le misure cautelari sono provvedimenti – decisi da un giudice – che limitano la libertà di una persona sotto indagine (quindi non ancora condannata). Alcuni esempi sono la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari. Oggi, le misure cautelari possono essere applicate solo in tre casi: se c’è pericolo (1) di fuga, (2) di alterazione di prove e (3) di ripetizione del reato, cioè se c’è il rischio che il reato continui ad essere commesso mentre la persona è sotto indagine.

Il “sì” chiede che quest’ultima cosa venga eliminata: cioè un giudice non deve considerare il rischio di ripetizione del reato mentre un soggetto è sotto indagine.  Per disporre misure cautelari rimarrebbero soltanto il pericolo di fuga e quello di alterazione delle prove.

EVa Dritta, a questo proposito, ha commentato: quante volte nei casi di persecuzione e di stalking sarebbe bene usare le misure cautelari per la reiterazione del reato! E invece spesso i persecutori rimangono liberi di agire e di raggiungere le loro vittime con premeditazione.

Terzo quesito, scheda gialla: separazione delle carriere nella giustizia.

Nel corso della loro vita, i magistrati italiani possono passare più volte dal ruolo di pubblici ministeri (cioè coloro che si occupano delle indagini insieme alle forze dell’ordine e svolgono la parte dell’accusa) al ruolo di giudici (cioè coloro che emettono le sentenze sulla base delle prove raccolte e del contradditorio tra l’accusa e la difesa).

Il “sì”chiede che i magistrati scelgano, all’inizio della loro carriera, se svolgere il ruolo di giudici oppure di pubblici ministeri, per poi mantenere quel ruolo per tutta la carriera in magistratura.

Cosa mi ha detto EVa Dritta? In parole semplici lei pensa che in un sistema democratico sarebbe ideale la separazione delle carriere, tuttavia l’abolizione dell’attuale regime, con la impossibilità di passare da giudice a inquirente e viceversa, sarebbe comunque monco, o all’italiana, bisognerebbe che anche le specializzazioni e i concorsi fossero separati fin dall’inizio! E non come ora che prima si entra in magistratura e poi si decide se fare i giudici o la pubblica accusa.

 Quarto quesito, scheda grigia, il sistema di valutazione dei magistrati.

In Italia, i magistrati vengono valutati ogni quattro anni. La valutazione serve per la progressione di carriera (andare avanti o rimanere ancora allo stesso livello). La valutazione la fanno i Consigli giudiziari, che si riuniscono presso ogni Corte d’Appello e sono formati da magistrati, avvocati e professori universitari: è in base ai loro pareri motivati che vengono valutati i magistrati. Ma, questo parere non è vincolante!  L’atto definitivo della valutazione avviene con un voto: e soltanto i magistrati possono votare nelle valutazioni professionali degli altri magistrati! Escludendo avvocati e professori universitari, che pure hanno concorso a formulare le singole valutazioni sull’operato dei magistrati!

Il “si” chiede che anche professori universitari e avvocati abbiano il diritto di voto nell’approvare la valutazione di carriera dei magistrati.

EVa Dritta pensa, anche stavolta, ad una democrazia ideale, e dice che in un sistema democratico è sempre da evitare la autoreferenzialità, cioè te la dici e te la ridi tutto da solo, meglio dell’autoreferenzialità è un sistema che preveda valutazioni esterne, non è corretto concettualmente che il potere di valutare sia esclusivamente nelle mani degli stessi valutati.

 Quinto quesito, scheda verde: elezione del Consiglio Superiore della Magistratura.

In Italia, il Consiglio Superiore della Magistratura è l’organo di autogoverno della magistratura: ha lo scopo di mantenerla indipendente rispetto agli altri poteri dello Stato (legislativo ed esecutivo) e gestisce le assunzioni, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari dei magistrati. È composto da 24 membri, eletti per un terzo dal Parlamento e per due terzi dai magistrati stessi. Oggi, per candidarsi, è necessario presentare almeno 25 firme di altri magistrati a proprio sostegno. Queste firme, oggi, sono quasi sempre fornite col supporto delle varie correnti politiche interne alla magistratura.

Se vince il “sì” non sarà più necessario l’obbligo di trovare queste 25 firme, e un magistrato potrà presentare autonomamente la propria candidatura.

Questo è il quesito apparentemente più semplice a capirsi.

E EVa Dritta sostiene che in un organismo dove ci siano più candidati per i posti di autogoverno (e ha in mente la scuola con il Consiglio d’Istituto ed il Collegio dei Docenti) la democrazia goda, perché in questo caso nasce spontanea la necessità di valutare e confrontare i meriti e le professionalità, ma anche le proposte e le innovazioni che possono essere dichiarate dai candidati.
Nelle elezioni politiche la raccolta di firme per la presentazione delle liste ha già una funzione di democrazia rappresentativa: un metodo per sfoltire i possibili candidati, insomma una prima “votazione” dentro i gruppi di opinione della società, che scelgono così i loro rappresentanti.
Ma qui siamo in altro ambito, ben definito e tutti sono già abili e arruolati in magistratura.

Ecco, ho finito si descrivere a cosa servirebbero i cinque referendum abrogativi di domenica prossima. Da questa tornata referendaria l’istituto referendario stesso non entra e non uscirà con smalto e credibilità. Bisognerebbe richiedere che fosse abolito il QUORUM. La democrazia parlamentare si rigenera e si sprona, una democrazia rappresentativa si rafforza quando  i referendum valgono sempre, a maggioranza semplice di chi va a votare. Anche la partecipazione democratica ci guadagnerebbe, ed anche la intelligenza di ogni cittadino.

EVa Dritta, seduta al fresco sulle scale d’ingresso del condominio dove abita in Barga Vecchia, sta rileggendo questo articolo, poi annuisce davanti al telefonino acceso in una video chiamata: “Hai riportato con chiarezza il mio pensiero, grazie. Ma mi hai messo in mezzo in questo articolo come fossi un’opinionista! Chissà cosa mi dirà Negro Amaro dopo averlo letto. Sei stata attenta a spiegare semplicemente le cose. Hai fatto un utile lavoro, spero che serva anche ai cittadini e cittadine che leggeranno il tuo blog. Ma sai, io sono sempre un po’ utopista, le mie opinioni lasciano il tempo che trovano! Forse anche tu sei un po’ potata a volare. Quando scrivi ti sento … fresca …
A proposito, hai sentito che caldo fa in questi giorni, sulle scale di casa ho un po’ di refrigerio e poi così vedo qualcuno, i miei sono già in vacanza, loro nel fine settimana tendono sempre a scappare, e sono sola in casa. A risentirci.”

Non vengono qui riportate le ultime frasi di quel colloquio televisivo, riguardavano la promessa di vedere sul blog di audultiancoraascuola.eu un secondo articolo sulla crisi ucraina, ormai siamo a più di 100 giorni dall’invasione e il futuro promette male. Siamo facilmente in balia delle propagande … e anche qui farsi un ragionamento appropriato e personale, non di pancia, comincia ad esser necessario, il futuro si si sta abbuiando un’altra volta, e non c’è tempo sospeso che tenga.

Una risposta a “DEMOCRAZIA NON E’ UN TERMINE ASSOLUTO”

  1. Bravo Renato, hai scritto un bell’articolo. Direi che questa volta più che portare “scompiglio” hai messo ordine spiegando in modo chiaro come stanno le cose. Non condivido del tutto le intenzioni di voto di Eva Dritta, ma la sua opinione è ben argomentata. Quello che mi dispiace è che ancora una volta si stia svilendo l’idea dei referendum che dovrebbero riguardare problematiche semplici e chiare alle quali ciascun cittadino dovrebbe essere in grado di rispondere in base alle sue convinzioni le sue conoscenze e la sua coscienza, come è stato fatto in passato in diversi referendum ( legalizzazione del divorzio e dell’aborto, acqua come bene comune, scelta energetica nucleare). In questo senso l’unico referendum fra quelli proposti per il quale valeva veramente la pena di votare sarebbe stato quello sul fine vita che purtroppo è stato bocciato dalla Corte Costituzionale, dicono, per un “vizio procedurale” peccato !! Mi auguro che prima o poi gli italiani potranno esprimersi su questo argomento che i nostri politici ignavi non vogliono affrontare

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