adulti ancora a scuola

Cosa c’entrano i gatti col corona virus?

Una mia amica ha due gatti che da quando li ha raccolti li ha ospitati a casa sua.  Sperava che quelli di facebuc l’aiutassero a toglierli dal randagismo o dalla morte per sparo contro il gatto. Dove lavora non volevano gatti e quindi li cacciavano. La sua collega l’aveva convinta a raccattarli e a portali a casa, l’aveva rassicurata che con facebuc si sarebbero potuti in breve tempo sistemare i due gattini altrove, del resto lei non li voleva a casa sua, per una ragione o per un’altra.

I due gattini sono via via cresciuti, è naturale, hanno mangiato nelle ciotole come gli altri gatti della mia amica, si sono trovati il loro posto per poltrire e non essere importunati, in quella casa che la sua sorella (della mia amica) dice sia la casa dei gatti.  

Gli altri gatti, già grandi, continuavano a fare la loro vita: la sera rientravano (lo fanno ancora) all’ora che la “signora padrona” rientrava da lavoro, ora più ora meno, ogni giorno. Mangiavano, facevano le fusa, scodinzolavano, strusciavano il musetto alle gambe e lei era soddisfatta di carezzarli e di parlar loro. Poi loro alla spicciolata o alla chetichella salivano le scale ed andavano nella stanza degli abiti e dei libri, cioè nella loro camera.

Al mattino, quando “quella” usciva per andare al lavoro, loro, i grandi, uscivano per la giornata in giro.   Ancora fanno la stessa cosa. Beh, ma non proprio sempre tutte le mattine escono, loro decidono in base al clima od all’orario di uscita di quella che ha le chiavi. Sì, perché lei, come responsabile nel lavoro che fa, non ha un orario fisso di entrata e di uscita, che per i gatti diventa di uscita e di entrata. Così a volte restano in casa fino a sera e poi se decidono escono per un giro nella serata, al buio. Altrimenti fanno anche due o tre giri d’orologio dentro quella casa, loro ci stanno bene. E hanno il cibo.    

Quei due nuovi gattini, invece, circolavano solamente a piano terra e al primo piano, su per le scale e via a scarrozzare, a scuriosare, a fare corse come giocando a polo con cartine, tubetti, matite per gli occhi. Insomma quello che trovavano, anzi che ancora trovano, da scaraventare giù e poi da trascinare sui pavimenti. Fino a quando gli oggetti non vanno sotto un mobile o si incastrano e allora addio il gioco! O addestramento?                              

Per farla breve, mesi sono passati, più di un anno ormai: “Ma non li mandi ancora fuori?”  “No, ancora no. Sono cresciuti qui e fuori andrebbero sotto una macchina o si perderebbero, non li posso lasciar fuori”.  

Ecco, loro, i due gattini, ormai sono gatti, tutti e due, il maschio e la femmina, già sterilizzati, pronti a non scodellare altri possibili futuri randagetti. Ma stanno in casa, solo nella loro casa. E guardano dalla finestra, oltre i vetri e oltre le inferiate. Se trovano la porta semichiusa o mezza aperta, non hanno lo scatto per andare. Non soffrono l’ansia di uscire. Non hanno maturato il concetto di uscire, di aria aperta, non hanno ancora maturato il gusto del rientro. Del risentirsi a casa.

Ma non ne hanno o non ne sentono il bisogno di uscire, andare e tornare, o semplicemente andare. Il loro esser gatti è costruito sullo stare e loro stanno.                              

Beati, satolli, concordi, fratelli ed amici (a-mici, appunto!) di sorte, di vita e di adorazione per la loro padroncina. Hanno imparato a stare in casa, quello è il loro universo, se non conoscono quello che sta fuori, loro, ho capito, non soffrono.                                                                                                                                              

Tu entri e loro ti guardano con i loro occhi dolci, storcendo la testa, facendo delle fusa, strusciandosi a te, non cercano niente (il cibo lo hanno comunque a disposizione h24), averti in casa è come accoglierti, sei loro ospite. Se potessi domandarglielo potrebbero risponderti che quella è sicuramente la loro casa, il loro regno, tuttalpiù “la nostra casa”. Non hanno rapporti con nessun altro al di fuori di chi circola in casa; loro, i due gattini cresciuti, stando solo/soli in casa, hanno veri rapporti solo tra di loro due, un po’ di più anche con la mia amica loro benefattrice, ma con gli altri tre gatti di casa le relazioni sono schive o cordialmente occasionali, insomma distanti, il buon giorno e il buonasera!

“Ma non soffrono?”  “No, lo vedi? Sono calmi, delicati e belli lucidi. Ormai questo è il loro mondo. Forse un giorno andranno anche fuori.”  “Regolarmente?” “Forse.”            

Insomma, non mi faccio più patemi d’animo per quei due, che avrei voluto liberi e un po’ anarchici, come me, con una casa ma a volere, non a dovere!                            

Mi sono ricreduto, quelli stanno bene e non cambierebbero le loro abitudini tutto d’un colpo. Stare a casa non li ha cambiati, li ha allevati, cresciuti, soddisfatti. Almeno adesso, credo.

l’universo di Nanisch & Bussoletto

La loro padrona, la mia amica adesso è a casa per la pandemia. Loro sono più contenti? Certamente è una novità navigare ai suoi piedi per molte ore al giorno, andare sul lettone e trovare la porta aperta di quella camera altrimenti tabù.

Passerà il tempo del virus. Poi ritorneranno a vedere la mia amica di rado. Saranno cambiati? Quanto questo periodo in cui la mia amica sta a lungo a casa li cambierà?

Penso che non lo sapremo e loro non hanno voglia di parlarne.          

Questo periodo di #stiamoacasa, a noi cosa ci insegna? Come ci alleva?

Ci sono analisi sociopsicologiche (aggettivo buffo a scriversi) e ci sono nostre sensazioni.            

Stando a casa ci si rinchiude. Chi più o chi meno, e molto può dipendere da quanto spazio hai da calpestare nella giornata e da quante altre persone lo girano attorno, sembra siamo più disposti a fare distinguo: questo si questo no, uffa ancora?  Da rinchiusi siamo/stiamo diventando meno disposti a ricevere; ed i messaggi, le persone che ci cercano da lontano, anche per cortesia solidale, possono cominciare a diventarci antipatici.  

Siccome “parliamo” di più con tutti o con tanti (eppure stiamo a casa) ci accorgiamo di più che “quello non la pensa come me”, e forse cerchiamo di schivare. Anche in messenger, whatsapp e facebucche.  

In questa routine da quarantena diventiamo più esclusivisti?

Un fatto mi sembra certo, quando incontro qualcuno, in questo periodo, lo incrocio, di istinto nuovo non lo saluto come prima, rimango alla larga, solo se ci faccio caso, cioè ci rifletto, ritorno ad essere ciarliero e amico, ed allora parlo, a voce più alta di prima perché c’è la distanza da mantenere e la mascherina da saltare. Sono poche le persone con cui non mantengo la distanza.    

Ho voglia di dirmi e tu hai voglia di dire che è giusto così, in fondo è bene essere diffidenti, tuttavia assai rapidamente ci stiamo adattando ad una nuova psicologia, frutto del Covid19.

Dopo saremo più tolleranti o meno? Dopo saremo più disponibili o meno? Chi sa, diventeremo meno disponibili ma più solidali? Più aperti, comprensivi, ma meno democratici?

Che c’entra questo, di noi col coronella virus e la storia dei due gattini che oggi sono Nanisch e Bussoletto?

Beh, ognuno ne cerchi una correlazione o una didascalia per conto suo.

È bene, non è male che ognuno sia maestro da/per se stesso.

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